venerdì 29 novembre 2019

“ABRAHAM LINCOLN. Un dramma americano” – Tiziano Bonazzi - Editore Il mulino - Recensione a cura di Stefano Cassini









Con questo libro, di stampo prettamente giornalistico,Tiziano Bonazzi si è classificato secondo al Premio letterario "Friuli Storia" edizione 2017.  .
L'autore, ci conduce nell'America post rivoluzione, per farci comprendere in quale contesto si sviluppa la figura di uno dei padri degli Stati Uniti, inizia col guidarci attraverso il periodo che va dalla liberazione dal dominio inglese alla nascita del futuro presidente.
Consente di capire quali fossero, fin da allora, le differenze tra stati del nord, già proiettati verso l'industrializzazione e quelli del sud, dove l'agricoltura conservava un ruolo preminente nell'economia.
Interessante, a mio parere, il modo in cui viene trattata la questione della schiavitù: Bonazzi ci fa intuire che, anche per un uomo illuminato come Lincoln, vi erano differenze tra bianchi e neri, perciò, fermo restando che nessun uomo poteva schiavizzarne un altro, non era considerata possibile una parità tout court.
Le angosce, i drammi, le sconfitte del candidato Lincoln fanno il pari con i successi, come avvocato e uomo politico, che hanno contraddistinto la sua vita.
Un testo, certo non veloce da leggere, che aiuta a farci conoscere una nazione, tanto diversa dalla nostra, attraverso il racconto di una particolare epoca della sua storia.
Qui di seguito il link per poter ascoltare la versione audio - Voce di Eleonora Zaffino

https://youtu.be/20xP-cAFIaM 

mercoledì 27 novembre 2019

"Fino a quando la mia stella brillerà" - Liliana Segre con Daniela Palumbo Editore Pickwick - Recensione a cura di Eleonora Zaffino




Liliana Segre racconta la sua storia, quanto ha vissuto prima, durante e dopo il lager.
Questa non è certo la mia prima recensione ma stavolta mi risulta difficile commentare la scrittura in sé. Mi limito a dire che è semplice, diretta, chiara e scorrevole.
Voglio qui raccontare che cosa mi ha colpito di questa lettura. Sarà capitato anche a voi un libro scritto da qualcuno di cui conoscete la voce. Quando questo accade a me, mentre leggo, ho la sensazione di sentire l’autore che racconta. Questo è un primo dato significativo perché si crea un contesto di partecipazione emotiva importante.
Nella prima parte del libro c’è un elemento che ho trovato di particolare interesse. La piccola Liliana nasce in una famiglia agiata e la sua infanzia è vissuta in un contesto privilegiato per l’epoca. Le esperienze che racconta però sono spesso tipiche della vita di gran parte dei bambini dei giorni nostri. Il che porta con facilità a pensare: “ma se fosse successo a me…”
È spaventosa l’idea che, per la sola colpa di esser nati, si possa essere trattati, per decisione di qualcuno, da esseri sub umani, animali.
È questo che avviene a causa delle leggi razziali: una progressiva privazione di qualsiasi diritto, nell’indifferenza dei più, fino al totale abbrutimento, alla perdita di ogni dignità.
Solo i più forti sono sopravvissuti all’indicibile. Portando però nell’anima un marchio ben più profondo e doloroso di un tatuaggio fatto per affermare che erano solo un numero.
Quanto può essere grande l’anima di una ragazza di quattordici anni che, avendo la possibilità di uccidere il suo aguzzino, decide di non farlo e di rivendicare così la propria umanità, che un regime delirante ha tentato di annientare.
Quanto sono patetici coloro che oggi augurano la morte a una donna che è sopravvissuta alla totale privazione di qualunque cosa fuor che la vita stessa. Loro che probabilmente avrebbero una crisi di nervi se restassero solo mezz’ora senza la connessione a internet.
Ci sono libri che vanno letti, anche se fa male. Perché ciò che è stato può ancora accadere.
Sono profondamente grata a Liliana Segre perché mi ricorda ogni giorno che lo spirito dell’essere umano può essere più forte della brutalità dei suoi simili.


 Qui di seguito il link per poter ascoltare la versione audio - Voce di Eleonora Zaffino

https://youtu.be/bMHqVGDX7gE

martedì 26 novembre 2019

Nero a Milano – Romano De Marco Editore Piemme - Recensione a cura di Adriana Rezzonico





Faccio appello a tutto il mio autocontrollo, non è semplice, ogni singolo muscolo del mio corpo vibra ed è teso come una corda di violino. Ogni respiro è soppesato, sento il mio cuore accelerare: scalpita senza inibizioni. come un cavallo imbizzarrito.
Sono terrorizzata, fin dalle prime pagine, sin dal prologo il nuovo romanzo di Romano De Marco mi scaglia come uno spettatore in un esperimento di laboratorio (cita lo stesso). E io non posso esimermi, è richiesta subito la mia attenzione e la mia proverbiale capacità di cogliere indizi, da lettrice accanita di thriller quale io sono.
La figura silenziosa appoggia la lampada sul pavimento, afferra la tanica e la apre. Sparge il contenuto e attende. Il fumo che ricopre Milano diventa più nero che mai.
In una città sempre più moderna, in perenne evoluzione, dove convivono in perfetta armonia basiliche antiche e immensi grattacieli che si stagliano fieri nel cielo, l’autore ci consegna una nuova trama potente. Ci costringe a specchiarci in enormi vetrate e a riflettere, nonostante i ritmi serrati di questa città, ormai crocevia di molte genti.
Il tema della “normalità” viene affrontato in maniera feroce: chi sono i “normali”, chi si arroga il diritto di sputare sentenze e chi possiede l’arma per arginare altre persone?
Marco Tanzi, il protagonista, è un cinquantenne. Investigatore privato di successo che possiede tuttavia un fardello non facile da gestire. La sua età lo porta a mettere tutto in discussione, anche il nostro stile di vita la “cosiddetta vita moderna”: una belva che fagocita tutto senza assaporare niente, sbrana senza tregua la vittima prescelta e non risparmia nessuno, tesa in un vero gioco al massacro. Il mondo dei clochard viene sezionato e affrontato lucidamente, quelle ombre che di giorno intralciano i nostri passi frettolosi e sporcano i marmi pregiati di alcune arterie principali. Le stesse presenze che sono invisibili agli sguardi di chi si sente “arrivato” e vive in quartieri lussuosi.
L’autore è abile, traccia una sorta di confine, una barricata che divide questi professionisti da chi ha scelto una vita ai margini, vivendo di stenti con pochi oggetti relegati in fondo a una busta di plastica.
La vera protagonista è la solitudine nei suoi mille volti. Sempre più spesso non siamo in grado di individuarla negli altri e, peggio ancora, non amiamo indossarla noi stessi. È un abito che non ci dona. Anche in una città densamente popolata la si può incontrare e Davide Prandi, figlio di una famiglia benestante, ce lo insegna, scappando di casa.
Una trama rivolta a chi cerca la propria rotta in mezzo a una società priva di valori. A chi si ostina, con infinita caparbietà, a preservare un angolo di bellezza e innocenza, quasi fanciullesca nonostante tutto.
E a chi scavalca convinzioni e certezze preconfezionate per poter essere se stesso e credere nella vita, nonostante le numerose paure che ci assillano.
Fate attenzione al buio, Milano vi aspetta!

Qui di seguito il link per poter ascoltare la versione audio - Voce di Eleonora Zaffino




https://youtu.be/4gJNwwgKGPA

venerdì 22 novembre 2019

La musicalità del testo








Quando scriviamo, vogliamo comunicare con il lettore.
Se vogliamo che il nostro pubblico comprenda e colga il messaggio che intendiamo trasmettere dobbiamo considerare più elementi.
Le parole usate, grammatica, sintassi ma anche la punteggiatura. Questa è fondamentale per dare senso e ritmo al discorso.
Il modo migliore per capire se un testo funziona è leggerlo ad alta voce. Se qualcosa non gira, così facendo, ce ne accorgiamo subito. Lo sentiamo a livelo istintivo, perchè la musica e il ritmo sono dentro di noi.
Dobbiamo immaginare che il nostro testo come un complesso musicale dove la punteggiatura è il basso: lo strumento il cui suono ricorda il battito cardiaco e che, a seconda di come viene suonato, determina l'impatto emotivo della musica su chi ascolta.
Usare bene la punteggiatura significa  arrivare al cuore del lettore.

Eleonora Zaffino


giovedì 14 novembre 2019

La tentazione del parolone


Fin da quando andavamo a scuola, ci è stato insegnato che la lingua parlata e quella scritta non sono proprio la stessa cosa.
Questo è vero, lo è in modo particolare per noi italiani. Non ce ne rendiamo conto ma è solo da pochi decenni che tutti gli abitanti della penisola parlano un unico idioma. Almeno ufficialmente.
In un passato non molto lontano si parlava un’innumerevole quantità di dialetti, ciascuno diverso, e la lingua italiana veniva usata davvero da pochi rappresentanti delle classi agiate e che avevano avuto modo di studiare.
Per lungo tempo si è scritto in italiano e parlato in dialetto, con la conseguenza che, nel comune  sentire,  si  è fatta strada la convinzione che quando si scrive si sta mettendo in luce il lato colto di sé.  
Ecco perché nel profondo di tutti noi, quando ci si mette a scrivere, si pensa che il proprio livello culturale venga a trovarsi sotto esame e quindi bisogna dimostrare di essere bravi: Come? Ahimè tantissimi cedono alla tentazione dell’uso del “parolone” il termine altisonante che dovrebbe farci  fare bella figura.
Tentazione pericolosa. Fa dimenticare che la prima funzione della scrittura è comunicare, farsi capire da chi ci legge che, specie se scriviamo romanzi o altre pubblicazioni, è probabile che non ci conosca.
Ecco allora che si assiste all’uso di espressioni  inappropriate e inadeguate che possono sembrare eleganti, in senso letterale lo sono, perché sono state scelte, ma hanno un significato diverso da quello che si vuol davvero dire.
Cosa molto frequente è che si dica “problematica” al posto di “problema”. Non è la stessa cosa.
La “problematica” è un insieme di problemi  legati tra loro e che fanno riferimento a una situazione comune, ad esempio la problematica dell’emarginazione è l’insieme di problemi come: povertà, disoccupazione, scarsa istruzione, contesti familiari disfunzionali.
Quindi meglio usare il “parolone” solo se serve davvero e preferire, per il resto, una scrittura chiara e semplice. 


Eleonora Zaffino

sabato 9 novembre 2019

Il colore delle parole





In una mia lettura a un certo punto, proposito del dover parlare una lingua straniera, si descrive la difficoltà che comporta l'esprimersi avendo a disposizione un lessico limitato e la paragona a una tavolozza con la metà dei colori. La conseguente impossibilità di dipingere un quadro che rappresenti correttamente l'immagine che vogliamo rendere. Ho pensato subito a quanto questo sia vero anche quando parliamo o scriviamo nella nostra lingua madre. Se usiamo sempre i soliti quattro vocaboli. Non saremo mai in condizione di far emergere a pieno quello che abbiamo dentro di noi. Se curiamo il nostro linguaggio avremo più possibilità di farci comprendere da chi ci legge, che credo sia il fine ultimo della scrittura. Meditate gente ed editate

Eleonora Zaffino

martedì 5 novembre 2019

Le parole sono importanti



Ho avuto modo di osservare una bambina straniera mentre conversava con la mamma.
Si esprimeva, a fasi alterne, un po' nella sua lingua di origine e un po' in italiano, senza togliere fluidità al discorso.
La cosa interessanteè che, durante i momenti in cui usava l'italiano, gesticoalva nel nostro modo caratteristico. Ma lo faceva solo in quel frangente, quando parlava nell'altra lingua no.
Il che converma, sempre di più, la mia convinzione che le parole che usiamo influenzano in modo significativo il nostro agire.
Le parole sono importanti.

Eleonora Zaffino