giovedì 20 agosto 2020

Piove deserto – Ciro Auriemma e Renato Troffa – Ed. DeA Planeta – Recensione a cura di Eleonora Zaffino

Pantaleo Mari torna nella sua isola: la Sardegna. Davide, il suo migliore amico, è morto in un incidente sul lavoro e lui deve scoprire la verità.  Questa è l’estrema sintesi della storia che Ciro Auriemma e Renato Troffa ci raccontano. 

Attorno a questo nucleo centrale si muovono eventi che portano a riflettere su questioni di grande attualità ma anche temi che, da sempre, agitano l’animo umano.

Un operaio scompare durante il suo turno di lavoro. Una fabbrica che già è oggetto di attenzione per la sua pericolosità ambientale. La compagnia di assicurazione dovrebbe risarcire la famiglia ma intende dimostrare che l’azienda non ha alcuna responsabilità per l’accaduto. Ironia della sorte Leo, così lo chiamano tutti, è l’investigatore incaricato per l’occasione.

Ecco che si intrecciano tra loro l’eterno dilemma di chi deve scegliere tra salute e lavoro, in una terra splendida ma tanto sofferente e il tormento di un uomo che sente di aver sbagliato tutto. Convinto di non valere niente ma che, pur inconsapevole, ha ancora dentro di sé la scintilla della giustizia.

Non racconterò altro della trama perché sarebbe un peccato rovinare la lettura di questo lavoro che mi ha colpito molto per diverse ragioni.

Per cominciare è sempre interessante leggere un testo scritto da due autori e avere la sensazione che sia opera di una sola persona, tale è la simbiosi tra i due.

La naturalezza con cui vengono esposti i fatti dà la misura della profonda padronanza dei luoghi e argomenti di cui si sta parlando, cosa che ritengo essenziale e cerco sempre nei  testi che leggo. L’uso di frasi nell’idioma locale conferisce realismo alle situazioni. Molto gradito, da parte mia, l’uso delle note a piè di pagina.

Non manca il viaggio dell’eroe che si esprime nella crescita personale del protagonista attraverso il corso degli eventi.

Una scrittura chiara, sincera e senza fronzoli e, proprio per questo, curata. Ho apprezzato molto anche una citazione musicale che non rivelerò.

Qualcuno, forse, avrà notato che non ho usato per nulla la definizione “noir”. Non è un caso. Ho ritenuto che sarebbe stato riduttivo dare a questa storia un’etichetta.

Se fossi in voi io lo leggerei.

 

martedì 18 agosto 2020

Un’estate con la strega dell’Ovest - Kaho Nashiki - La Feltrinelli – Recensione a cura di Veronica Orlandini

 

 

Ritorno con affetto al mio Giappone letterario ma con una storia, a mio dire, senza tempo, ovvero il legame che può crearsi tra una nonna e una nipote.

Da un anno ad oggi abbiamo sentito tanto parlare di questo breve romanzo seguito da altri piccoli racconti brevi, dove ci viene illustrato il legame tra una nipote spaventata dall’ambiente scolastico ostile e quello tra la sua particolare nonna.

Avere 13 anni ed essere vittima di discriminazione non è piacevole specie se tutto quello che si è fatto di “sbagliato” è essere se stessi, ma scoprire che la propria nonna è una strega proveniente dall’Inghilterra può rivelarsi di grande aiuto per conoscersi e migliorarsi.

Ed eccoci immersi anche noi lettori in un’estate calda e soporifera, dove possiamo facilmente sentire i profumi delle erbe nel giardino, la pioggia picchiettare sul soffitto mentre le uova cuociono in pentola, il grattare degli speroni del gallo e il caldo del sole al tramonto.

Mai scoprirà segreti sulla sua famiglia e su se stessa, dovrà compiere scelte difficili in solitudine finché non arriverà a capire che la nonna, non solo le ha insegnato a essere una strega, ma anche un’adulta.

Vi raccomando di tenere con voi un fazzolettino per il finale

 

giovedì 13 agosto 2020

Fiore di roccia - Ilaria Tuti – Ed. Longanesi – Recensione a cura di Stefano Cassini

Ilaria Tuti ci porta nelle sue terre, in questo caso Timau frazione di Paluzza, nel periodo della Grande Guerra.

Qui si formò spontaneamente il gruppo delle "Portatrici"; donne che in assenza dei loro uomini impegnati al fronte aiutarono i soldati che combattevano poco sopra il paese a difesa della Patria.

La storia narrata da Agata Primus che, nonostante sia orfana di madre e unico sostegno per il padre infermo, sale e scende con vigore, fisico e mentale, i sentieri che portano alla prima linea.

Lei e le sue compaesane e amiche portano dai generi di prima necessità alle munizioni, con carichi che a volte superano il loro stesso peso.

Agata ha modo di conoscere il capitano Colmar, comandante del battaglione impegnato a tener testa all'esercito austro-ungarico pochi metri più in là, con il quale ha molti scambi di opinione che portano l'ufficiale ad apprezzare la giovane; pare nascere un innamoramento tra i due ma, forse, è solo bisogno di non sentirsi soli in un mondo dove la sopravvivenza pare essere l'unico dogma.

Agata deve guardarsi, inoltre, da Francesco, l'unico giovane che,  per qualche misteriosa ragione, non è al fronte ed è innamorato di lei al punto da perseguitarla con ricatti e minacce, quasi uno stalker ante litteram.

Non conoscevo l'autrice e devo dire che mi ha piacevolmente intrattenuto con questo romanzo, dal finale un po' scontato, che però ha portato alla luce una figura della prima guerra mondiale: quella delle PORTATRICI. Pochi, credo, fossero a conoscenza del loro eroismo; chi scrive sapeva del lavoro in fabbrica svolto dalle donne in mancanza dei loro mariti e compagni ma, lo ammetto, mai ho saputo di quanto fatto da loro nei territori poco dietro le trincee.

Per rafforzare il concetto vi segnalo che a una di loro, Maria Plozner Mentil, è stata dedicata persino una caserma a Paluzza, l'unica in Italia dedicata a un donna.

Chiudo con una nota ai miei occhi stonata; la scrittrice fa parlare la protagonista, che ricordo essere una contadina carnica del 1915, con un linguaggio a mio avviso un po' pomposo. Mi è stato insegnato che se narri una storia in prima persona devi usare il modo di parlare dell'epoca e del posto. Tutto ciò un po' stona ma non cambia la bellezza del racconto.