giovedì 13 agosto 2020

Fiore di roccia - Ilaria Tuti – Ed. Longanesi – Recensione a cura di Stefano Cassini

Ilaria Tuti ci porta nelle sue terre, in questo caso Timau frazione di Paluzza, nel periodo della Grande Guerra.

Qui si formò spontaneamente il gruppo delle "Portatrici"; donne che in assenza dei loro uomini impegnati al fronte aiutarono i soldati che combattevano poco sopra il paese a difesa della Patria.

La storia narrata da Agata Primus che, nonostante sia orfana di madre e unico sostegno per il padre infermo, sale e scende con vigore, fisico e mentale, i sentieri che portano alla prima linea.

Lei e le sue compaesane e amiche portano dai generi di prima necessità alle munizioni, con carichi che a volte superano il loro stesso peso.

Agata ha modo di conoscere il capitano Colmar, comandante del battaglione impegnato a tener testa all'esercito austro-ungarico pochi metri più in là, con il quale ha molti scambi di opinione che portano l'ufficiale ad apprezzare la giovane; pare nascere un innamoramento tra i due ma, forse, è solo bisogno di non sentirsi soli in un mondo dove la sopravvivenza pare essere l'unico dogma.

Agata deve guardarsi, inoltre, da Francesco, l'unico giovane che,  per qualche misteriosa ragione, non è al fronte ed è innamorato di lei al punto da perseguitarla con ricatti e minacce, quasi uno stalker ante litteram.

Non conoscevo l'autrice e devo dire che mi ha piacevolmente intrattenuto con questo romanzo, dal finale un po' scontato, che però ha portato alla luce una figura della prima guerra mondiale: quella delle PORTATRICI. Pochi, credo, fossero a conoscenza del loro eroismo; chi scrive sapeva del lavoro in fabbrica svolto dalle donne in mancanza dei loro mariti e compagni ma, lo ammetto, mai ho saputo di quanto fatto da loro nei territori poco dietro le trincee.

Per rafforzare il concetto vi segnalo che a una di loro, Maria Plozner Mentil, è stata dedicata persino una caserma a Paluzza, l'unica in Italia dedicata a un donna.

Chiudo con una nota ai miei occhi stonata; la scrittrice fa parlare la protagonista, che ricordo essere una contadina carnica del 1915, con un linguaggio a mio avviso un po' pomposo. Mi è stato insegnato che se narri una storia in prima persona devi usare il modo di parlare dell'epoca e del posto. Tutto ciò un po' stona ma non cambia la bellezza del racconto.

 

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