Ilaria Tuti ci porta nelle sue terre, in questo caso Timau frazione di Paluzza, nel periodo della Grande Guerra.
Qui si formò spontaneamente il gruppo delle "Portatrici"; donne che in assenza dei loro uomini impegnati al fronte aiutarono i soldati che combattevano poco sopra il paese a difesa della Patria.
La storia narrata da Agata Primus che, nonostante sia orfana di madre e unico sostegno per il padre infermo, sale e scende con vigore, fisico e mentale, i sentieri che portano alla prima linea.
Lei e le sue compaesane e amiche portano dai generi di prima necessità alle munizioni, con carichi che a volte superano il loro stesso peso.
Agata ha modo di conoscere il capitano Colmar, comandante del battaglione impegnato a tener testa all'esercito austro-ungarico pochi metri più in là, con il quale ha molti scambi di opinione che portano l'ufficiale ad apprezzare la giovane; pare nascere un innamoramento tra i due ma, forse, è solo bisogno di non sentirsi soli in un mondo dove la sopravvivenza pare essere l'unico dogma.
Agata deve guardarsi, inoltre, da Francesco, l'unico giovane che, per qualche misteriosa ragione, non è al fronte ed è innamorato di lei al punto da perseguitarla con ricatti e minacce, quasi uno stalker ante litteram.
Non conoscevo l'autrice e devo dire che mi ha piacevolmente intrattenuto con questo romanzo, dal finale un po' scontato, che però ha portato alla luce una figura della prima guerra mondiale: quella delle PORTATRICI. Pochi, credo, fossero a conoscenza del loro eroismo; chi scrive sapeva del lavoro in fabbrica svolto dalle donne in mancanza dei loro mariti e compagni ma, lo ammetto, mai ho saputo di quanto fatto da loro nei territori poco dietro le trincee.
Per rafforzare il concetto vi segnalo che a una di loro, Maria Plozner Mentil, è stata dedicata persino una caserma a Paluzza, l'unica in Italia dedicata a un donna.
Chiudo con una nota ai miei occhi stonata; la scrittrice fa parlare la protagonista, che ricordo essere una contadina carnica del 1915, con un linguaggio a mio avviso un po' pomposo. Mi è stato insegnato che se narri una storia in prima persona devi usare il modo di parlare dell'epoca e del posto. Tutto ciò un po' stona ma non cambia la bellezza del racconto.
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