mercoledì 4 novembre 2020

Stefano Cassini intervista Ciro Auriemma




Il cagliaritano Ciro Auriemma è autore, editor, insegnante di scrittura e fisico, riguardo a questa ultima definizione ci segnala,  con una nota, un dettaglio che ce lo fa apprezzare ancora di più (fisico mancato! Non mi sono laureato, con l’arrivo della seconda figlia dovevo scegliere tra le ore di laboratorio di fisica e quelle tra i pannolini e le pappe… e ho scelto queste, senza troppi rimpianti!). Con altri autori di successo come Massimo Carlotto, Piergiorgio Pulixi, Renato Troffa, Andrea Melis, Michele Ledda e Stefano Cosmo fonda il Collettivo Sabot per dar voce ai problemi della Sardegna.

L'esordio con il Collettivo Sabot, “Perdas de fogu”, cosa le ha lasciato?

Anzitutto un metodo. La scrittura di un giallo è sempre una scrittura sociale; questo significa che, attraverso il racconto di una vicenda criminale, la lente di osservazione dell’autore si sposta sempre dal delitto alla società in cui questo è maturato, sulle contraddizioni che la contraddistingue. Nel noir mediterraneo l’elemento socio-analitico e quello antropologico sono ancora più spiccati. E poi l’idea che si possa condividere una storia con qualcuno senza alcuna sottrazione, anzi, consci che sarà un inevitabile arricchimento nel momento in cui tutti saranno disposti a fare un passo indietro rispetto alle proprie idee per accogliere quelle degli altri. Ecco, l’esperienza del collettivo mi ha insegnato a fare quel passo indietro e a pormi in ascolto.

Nel suo ultimo libro, “Piove deserto”, il personaggio principale, Pantaleo Mari, ritornando al suo paese natìo è combattuto tra il rimpianto per averlo lasciato e la convinzione di aver fatto la scelta giusta; ci sono affinità, anche caratteriali fra lei e il suo protagonista?

Lavoro sempre per trapianti di emozioni ed esperienze. Leo è un malinconico, figlio di un tempo che va troppo veloce e al quale non sa chiedere di rallentare; non trova il passo, è goffo, sempre molto severo con se stesso. C’è un tempo anche per fare le cose giuste – pensa a un certo punto del romanzo – e io quel tempo non l’ho saputo mai. Condivido con Leo una certa malinconia, una forma di nostalgia per le cose che non abbiamo vissuto. Il peso di non poter vivere la quotidianità con i nostri figli – lui è separato, io divorziato – che significa soprattutto il senso di colpa per non averlo potuto evitare. Infine, l’amore sconfinato per il mare. Parlo di lui come se fossimo buoni amici, e in un certo qual modo è proprio così.

Restando a “Piove deserto”, è solo l’ultimo lavoro che lei produce con Renato Troffa (con cui ha scritto in precedenza “Sette giorni di maestrale”); significa che predilige il lavoro di squadra anziché operare da solista?

C’è una frase che amo particolarmente e che unisce me, RenatoTroffa e Michele Ledda come fratelli: “A LA META LLEGAMOS CANTANDO O NO LLEGA NINGUNO”. È tratta da una poesia di Luis Sepulveda, musicata poi dai Modena City Ramblers, e mi ricorda che ci sono dei “noi” che valgono molto più degli “io”. Quando, davanti a un bicchiere di vino o a un caffè, ci siamo ritrovati a condividere l’idea di una storia e quella è diventata terreno per una semina comune, è sempre stato istintivo per tutti dire “questa ora la scriviamo”, con un plurale che nei fatti aveva già superato le singole voci. Ci sono poi delle storie che ognuno di noi ha maturato da solo; con una di queste, se tutto va bene, arriverò a metà del prossimo anno in libreria, e i miei compagni sono entusiasti come se si trattasse di un libro loro! 

Andiamo più sul personale: preferisce scrivere o insegnare?

Sono due facce della stessa medaglia. Scrivere richiede esercizio, studio, confronto con altri autori e con editor. Questo bagaglio di esperienza sui libri non si trova, ed è quel quid in più che puoi mettere in condivisione con le tue e i tuoi studenti. Claudio Ceciarelli, l’editor della E/O, è stato il mio primo editor, quello che mi ha portato all’esordio. Ho imparato molto più da lui, riga per riga, parola per parola, che su alcuni manuali che ho studiato. Però… se devo essere sincero, insegnare, soprattutto alle ragazze e ai ragazzi delle medie e delle superiori, ha una magia che ti entra dentro, e quando si avvicinano e ti fanno leggere le cose che hanno scritto, mettendo in pratica i tuoi consigli, facendoli propri, ti senti in pace col mondo.

Infine; ho letto che la casa editrice SEM collaborerà con la sua scuola di scrittura Baskerville. Ci può descrivere in cosa consiste?

Oltre che con SEM abbiamo chiuso una collaborazione con NNEditore, e presto ne arriveranno altre. Sono editori che portano la loro esperienza all’interno dei nostri corsi – Riccardo Cavallero di SEM, e Alberto Ibba e Luca Pantarotto di NNEditore sono tra i nostri docenti – e che mettono a disposizione materiale di lavoro (schede, anteprime sulle promozioni, ecc.) e che, infine, accoglieranno qualche nostro corsista, dopo un adeguato colloquio conoscitivo, per uno stage formativo in casa editrice. L’ambizione che ha spinto Daniele Pinna (Agenzia Letteraria Kalama), Renato Troffa e me a fondare la Scuola Baskerville è proprio questa: imparare facendo, imparare da chi fa. Quindi al corso di narrazioni scriveremo, in quello di editing editeremo i testi validi che vengono da narrazioni e qualcun altro proposto dai nostri partner, e infine il corso di editoria valuterà se i testi prodotti durante l’anno di studio e lavoro sono meritevoli di pubblicazione e, eventualmente, a quale editore inviare il manoscritto.

Grazie per questa bella chiacchierata 

Nessun commento:

Posta un commento